LA PSICOLOGIA DEL POSITIVO PER IL GOVERNO DELL'INCERTEZZA

Manuale di Resilienza per Professionisti Sanitari

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ABSTRACT
Oggi si parla tanto di resilienza, forse troppo, in psicologia, in psichiatria, in neurologia, in economia, tra la gente comune, ma cosa significa essere resilienti?
È un termine che racchiude le potenzialità della mente?
Rispecchia la vera natura umana, la sua potenziale capacità di superare e gestire le difficoltà e i traumi della vita?
È oggi ampiamente dimostrato che rispetto a pregresse o attuali esperienze stressanti o traumatiche la mente possiede una intrinseca capacità di lotta, diremmo per la sopravvivenza; lo abbiamo visto e lo si vede con l’esperienza del Covid-19, come di fronte a situazioni traumatizzanti sul piano fisico e ad alto impatto emotivo emerge una forza interiore che mira a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed è ciò che l’uomo ha in sé per sua natura, è il senso stesso dell’evoluzione che come sappiamo ha visto l’uomo emergere da situazioni drammatiche, affrontare imprevisti catastrofici in tanti momenti della storia.
È questa la resilienza? Una modalità attiva di fronteggiare il trauma senza soccombere? Un modo per rialzarsi nonostante la sofferenza?
Uno stile di vita caparbio, di chi non molla, di chi vuole riscattarsi e ritrovare un proprio equilibrio quando tutto va male?
Un rialzarsi dal baratro a testa alta e migliori di prima?

Senza dubbio l’attenzione degli studiosi sulle dinamiche della resilienza ha consentito di valorizzare gli aspetti positivi della personalità, dando slancio a studi mirati a cogliere le potenzialità della mente, piuttosto che stare là a rimuginare rispetto ai traumi del passato. Un’ottica decisamente nuova se si considera che per anni la psicologia si è occupata di “guarire le ferite dell’anima” attraverso l’esplorazione dell’inconscio, considerando estremamente faticoso il percorso di guarigione da ciò che sono i legami e le esperienze del passato di un individuo.
Due prospettive, tuttavia, che appartengono all’uomo: la prima ancorata alla necessità di affrontare il quotidiano, ove naturalmente convergono tutte le dinamiche del passato, la seconda invece più proiettata al futuro, più dinamica, più positiva. Nasce così la consapevolezza di dover cambiare rotta per affrontare problematiche nuove, connesse allo sviluppo di strategie efficaci per il miglioramento del ben-essere personale, ponendo così le basi della psicologia del positivo.
La riflessione che ha portato alla definizione delle risorse positive dell’individuo è nata dall’osservazione della realtà: se è vero che alcune persone soccombono alle nevrosi, è anche vero che la maggioranza degli esseri umani riesce a convivere con lo stress. Inoltre, alcune persone riescono a superare con forza e determinazione situazioni traumatiche estreme e persistenti – come può essere la permanenza in un campo di concentramento – riuscendo a riprendere in mano le redini della propria vita.
L’interesse degli studiosi ha travalicato il modello del patologico – quello della sofferenza e del disagio psichico – per proporre un modello positivo nell’intento di cogliere i fattori psicologici che rendono possibile un sano sviluppo della persona e la sua autorealizzazione. L’attenzione si sposta quindi sui fattori positivi che rendono l’individuo proattivo, valorizzando il ruolo della personalità nella determinazione delle scelte e nella progettazione del futuro.
Resilienza e fragilità diventano così realtà complementari, due facce della stessa medaglia: nella fragilità l’uomo si trova a fare i conti con le proprie debolezze ed i propri limiti, sia fisici che psichici, nella resilienza si pone nei confronti della vita con una prospettiva proattiva, dinamica, positiva. Questa contrapposizione non deve tuttavia meravigliarci, ciò in fondo fa parte della natura umana, fragili e antifragili, tristi e gioiosi, saggi e superficiali, affettuosi e egoisti, teneri e sadici, benevoli ed egoisti, paranoici e accoglienti in una complessità di dinamiche che danno ragione della molteplicità delle sfaccettature di un qualsiasi profilo di personalità.
L’uomo possiede grandi risorse psicologiche che favoriscono le sue potenzialità adattive consentendogli di affrontare con decisione ogni difficoltà. La personalità matura ha le sue radici nella famiglia, nei rapporti primordiali che si instaurano con le figure genitoriali e, successivamente, con ogni altra figura di riferimento; la promozione del benessere deve così mirare allo sviluppo armonico della personalità di ciascun individuo che gli consenta di adattarsi in modo attivo e funzionale alla realtà circostante.

 

INDICE
Introduzione
La personalità come modo di essere
Motivazione interiore e crescita dell’Io
Vivere nel mondo dell’incertezza: il contesto
Stress e benessere
Ragione, emozioni, intuito e socialità: i volti della mente
Il governo dell’incertezza: saper progettare
Il fitness cognitivo-emotivo
Aspetti pratici della vita quotidiana
Autostima e autoefficacia
Appendice
- un test per riflettere
- un test per agire

 

 CONTENUTI

Acquisizione competenze tecnico-professionali
Esplorare le competenze trasversali (resilienza, personalità, motivazione) utili a gestire l'incertezza, le situazioni critiche, le emergenze e i traumi.
Acquisizione competenze di processo
Acquisire consapevolezza circa i propri punti di forza e debolezza nell'affrontare criticità e incertezze, con particolare riferimento a periodo pandemico, intra-pandemico e post pandemico
Acquisizione competenze di sistema
Sensibilizzare all'importanza di alcuni soft skills indispensabili a governare l'incertezza a livello motivazionale e personologico.

 

ESTRATTO DAL LIBRO

 

GIULIO. Una situazione lavorativa difficile e impegnativa
Giulio ha imparato a convivere da molti anni con una situazione lavorativa difficile e impegnativa; tecnico di laboratorio in una grande azienda, ha sempre lavorato con spirito di collaborazione e sacrificio.
I suoi quarant’anni sono stati ben spesi, ha una bella famiglia e una casa che ha acquistato di recente proprio grazie ai sacrifici fatti ed impegnando, per il mutuo, una parte dello stipendio; la moglie non lavora, pur essendo laureata in giurisprudenza non ha mai cercato un lavoro condividendo con Giulio l’importanza di dedicare ogni risorsa ai due figli da poco maggiorenni.
Nel corso degli anni Giulio non si è risparmiato nei confronti dell’azienda con impegni, orari extracontrattuali e non retribuiti e con piena assunzione di responsabilità anche per mansioni non strettamente connesse al proprio ruolo.
Si è assunto per anni responsabilità che non gli competevano, sia per favorire il suo diretto superiore molto abile nel lasciare gli impegni maggiori agli altri, sia per un senso di venerazione nei confronti del suo ideale di azienda.
Riteneva il suo ruolo importante e dava per scontato il suo maggiore impegno, quasi un dovere (... dovevo seguire tutto io ... dovevo garantire che tutto funzionasse per il meglio ... doveva essere tutto perfetto ...), un atto dovuto all’azienda, indipendentemente da ogni altra considerazione.

Descritto come una persona buona, rispettosa, remissiva, incapace di far del male agli altri, è stato sempre pronto e disponibile per chiunque, sia in ambito lavorativo che familiare e sociale; non ha mai avuto grosse pretese ed aspirazioni, impegnato nel lavoro ed attento alle esigenze della famiglia, era contento di come andavano le cose, anche la situazione lavorativa gli stava bene. Non ha mai ritenuto opportuno avanzare richieste nei confronti del suo superiore né dell’azienda, si è sempre accontentato di come veniva trattato, in fondo si sentiva gratificato e, per certi versi, gli bastava il sostegno della sua famiglia che non gli ha mai creato problemi e preoccupazioni.

Il problema è insorto quando l’azienda, per un certo periodo, ha dovuto ricorrere alla cassa integrazione inserendo anche Giulio nell’elenco dei dipendenti che ne dovevano usufruire: ciò ha comportato l’insorgere di un quadro depressivo di particolare gravità.

Pur sapendo che si sarebbe trattato di un provvedimento transitorio che avrebbe riguardato un numero cospicuo di dipendenti, ha reagito allontanandosi da tutto e da tutti, rimanendo al di fuori di ogni relazionale.
La sua reazione depressiva è stata motivo di forte preoccupazione per la famiglia e per gli amici ed è stato necessario un periodo di circa un anno di terapia; ora Giulio sta meglio, ha ripreso a lavorare e l’azienda si sta riprendendo dalla crisi, anche se ci vorrà ancora del tempo.

 

 CLAUDIO. Vivere in funzione di una storia d'amore
Claudio ha da poco conosciuto una donna di 28 anni, Sonia, di cui è fortemente innamorato. Ha iniziato una splendida storia d’amore e, sembra, aver inaugurato una nuova stagione, ha completamente abbandonato i suoi riferimenti e le responsabilità attuali e vive solo in funzione di questa storia.
Ha 55 anni, è sposato con Sandra e ha tre figli di 11, 15 e 17 anni, ma sembra che tutto questo non gli interessi più, o per meglio dire, vorrebbe organizzare la sua vita andando a vivere – come ha fatto – con Sonia in un’altra città per far ritorno a casa nel fine settimana e ritrovare la sua famiglia.
È un libero professionista, che, abituato a lavorare in più città, non ha avuto difficoltà a trovare lavoro e sistemazione lontano da casa; ha organizzato il tutto senza consultare nessuno, in piena autonomia, ritenendo forse di non dover dar conto a nessuno, né ai figli, né alla moglie che mi ha consultato in quanto presa alla sprovvista dal comportamento di Claudio.
Non avrebbe mai immaginato tutto questo, si rammarica perché negli ultimi anni, per problemi di salute e di impegni lavorativi, non è stata attenta e premurosa con lui, ma non giustifica ciò che sta accadendo.
È come se Claudio stesse vivendo una nuova adolescenza, completamente deresponsabilizzato rispetto alla famiglia, non sembra avere alcuna consapevolezza delle conseguenze derivanti dal proprio comportamento; non sembra che il distacco dai figli lo condizioni più di tanto, né appare preoccupato per le inevitabili conseguenze sul piano legale.

 

 ALESSANDRA. Una diagnosi di tumore al seno
Alessandra ha da poco intrapreso una nuova attività
, ha trovato lavoro come segretaria in un centro di chirurgia estetica, ha 35 anni ed è sposata da 4 anni con Antonio, operaio presso un’impresa di costruzioni. Ha una figlia di 3 anni e vive con la suocera con cui si relaziona molto bene e a cui è molto legata, avendo perso di recente i genitori, il padre per un infarto cardiaco, la madre per un tumore allo stomaco.
È una ragazza vivace, piena di vita, si relaziona molto bene con gli altri, ha un buon rapporto con Antonio che descrive come “il ragazzo della sua vita” e che conosce da quando aveva 12 anni; la piccola Ilaria cresce bene, è vispa e si adatta ad ogni situazione, è “la gioia di tutti”!

I problemi cominciano quando ad Alessandra viene diagnosticato un tumore al seno. Si è trattato di un reperto occasionale, per certi aspetti fortuito, in quanto è venuto fuori nel corso delle indagini che ha dovuto fare per accedere al nuovo lavoro.
È iniziato così un periodo di grande sofferenza che a tutt’oggi, pur essendo la situazione sotto controllo dal punto di vista clinico, continua ad avere ripercussioni dal punto di vista psicologico.
Dopo la diagnosi, Alessandra è andata a Milano dove è stata operata nel giro di poche settimane, ha quindi dovuto seguire una terapia medica con l’indicazione di sottoporsi a periodici controlli clinici, un monitoraggio standard, nulla che possa o debba far preoccupare più del dovuto.
Però lei non ha accettato la malattia e vive con il continuo terrore che il tumore “possa ricrescere”; ha sviluppato un quadro ansioso e, in particolare, non trova più pace, ha necessità di essere rassicurata e continua a chiedere consultazioni specialistiche, è alla ricerca di continue conferme sul suo stato di salute. Oltre a girare l’Italia alla ricerca dello specialista più bravo e spendere molti soldi per queste consulenze, non riesce ad assicurare una continuità lavorativa e soprattutto non riesce ad essere vicina ad Ilaria che sta risentendo molto del comportamento iperattivo e non finalizzato della madre.

Alessandra ha ora intrapreso una terapia psicologica e, anche grazie al sostegno familiare, sta progressivamente riprendendo fiducia nella vita e si sta rasserenando rispetto al futuro.

 

CINZIA. Un amore fonte di sofferenza
Per Cinzia l’amore che ha scoperto a 45 anni è solo fonte di sofferenza, ha conosciuto di recente Patrizio e si è innamorata. Sposata e con due figli di 6 e 9 anni, gestisce un negozio di articoli per la casa, ha sempre lavorato e dedicato ogni interesse alla famiglia, ha un buon rapporto con il marito che descrive come un uomo mite, tranquillo, che lavora con lei nel negozio e “non gli crea nessun problema”, la lascia libera, ma è sostanzialmente lei ad occuparsi di ogni problema relativo alla famiglia e al negozio. Questa responsabilità le dà un certo orgoglio, riconoscendosi autonoma, decisa, e ha consapevolezza del ruolo marginale del marito, per questo non vuole che “la sua storia” si ripercuota sul management familiare e lavorativo.
In ciò è discreta, gli incontri con Patrizio sono saltuari, mediamente 3-4 volte al mese, ma l’intensità del rapporto le condiziona lo stato d’animo ed è motivo di sofferenza; vorrebbe vederlo di più, si sentono continuamente al telefono, molti sms, momenti di forte gelosia (... Patrizio è sposato, so che non dovrei essere gelosa ... ma è più forte di me .... ); così come descritta sembra un’appassionante storia d’amore vissuta con intensità (... ho anche difficoltà a dormire ... Patrizio è sempre presente nei miei pensieri…non avevo mai provato emozioni così forti… ).

Cinzia sta vivendo un momento di crisi, ciò la fa stare male, si rende conto di aver dato troppo spazio a questa storia e di aver creato dei problemi anche a Patrizio che negli ultimi mesi è meno disponibile, “più razionale e freddo”. Tutto ciò è ulteriore fonte di disagio, anche se complessivamente Cinzia conserva un’apparente buona funzionalità familiare e lavorativa.

Cosa condiziona le scelte delle persone?
Perché rispetto ai problemi della vita si adottano talvolta stili comportamentali incoerenti con il proprio modo di essere?
È possibile prevedere il comportamento delle persone e comprenderne il modo di pensare e di essere?
Quanto concorrono alla comprensione del comportamento umano i fattori genetici, psicologici, familiari, lavorativi e sociali?

Alcuni individui di fronte ai problemi si paralizzano, assumono un atteggiamento regressivo, si nascondono in un angolo ed evitano qualsiasi iniziativa; attendono che il peggio passi e accettano passivamente ogni conseguenza. Tendono a subire gli eventi, rimangono impauriti, privi di forza, non accettano l’idea che il mondo sia in continuo cambiamento e non hanno capacità di adattamento.

Altre persone, invece, corrono senza una meta precisa, di fronte ai problemi vanno alla ricerca della soluzione magica, non riescono a rasserenarsi, ad accettare la realtà, credono nei sogni, si illudono, non accettano “il dato di fatto”. Non si rassegnano, ma disperdono ogni energia in questa corsa alla ricerca della sicurezza e della risposta ai propri problemi; non hanno consapevolezza della propria debolezza, non accettano l’idea che la vita possa avere degli imprevisti.

Altri ancora tendono ad ignorare i problemi, non li riconoscono, si lasciano guidare dalle emozioni rischiando di compromettere anni di lavoro e responsabilità; pur avendo avuto sempre un comportamento lineare e responsabile, all’improvviso sembrano perdere ogni forma di razionalità e senso di responsabilità. Possono così disconoscere ogni impegno assumendo stili di vita disadattivi, quasi espressione della rottura di un equilibrio interiore e dell’incapacità di affrontare con ragionevolezza le situazioni della vita.

Il comportamento umano trova ampio spazio nella letteratura scientifica contemporanea e le sue ragioni non sono ancora del tutto chiare, ma ciò che sappiamo con certezza è che la personalità ha un ruolo determinante nella sua genesi.
Esso non è semplicemente questione di volontà [7]. La volontà non è un muscolo che si può tenere in allenamento e non è questione di farcela o non farcela, resistere o non resistere, impegnarsi o meno, assumersi delle responsabilità o lasciarsi guidare dalle emozioni (tabella 1).
Le scelte di una persona, anche se apparentemente illogiche, sono espressione del suo modo di essere [8] e possiedono motivazioni profonde che nascono proprio dalla personalità, vera chiave di lettura del comportamento umano.

 

ROSALIA. Troncare una relazione fatta di soprusi e violenza
Rosalia
ha avuto il coraggio di troncare una relazione fatta di soprusi e violenza: da circa cinque anni conviveva con Antonio, un uomo apparentemente sereno e gentile, “una brava persona, un impiegato modello”. Solo col tempo ha scoperto che Antonio abusava di alcolici e che sotto quell’apparenza si nascondeva una persona violenta e aggressiva tanto da renderle la vita un inferno.

Dopo due mesi di vita autonoma non ha resistito alle insistenze di Antonio ed è tornata a vivere insieme a lui che le ha promesso che si sarebbe comportato bene e non avrebbe più abusato di alcolici; la promessa è durata poco e Rosalia continua, a distanza di anni, a subire ogni sorta di violenza senza riuscire a distaccarsi da lui, nonostante altri brevi periodi di allontanamento da casa.
Pur desiderando una vita libera, autonoma, Rosalia non riesce a trovare la forza di essere ferma nelle proprie decisioni, ritorna sui suoi passi, non è in grado di operare una scelta definitiva e di ricostruirsi una vita, si lascia impietosire continuando a ripetere gli stessi errori del passato.

Come possiamo allora definire la personalità?
È semplicemente il modo di essere di una persona: la sua modalità usuale di agire e reagire nei confronti della vita, il suo adattamento unico al proprio ambiente. «Non esistono due individui che abbiano lo stesso adattamento al loro ambiente, e pertanto non ci sono due individui con la stessa personalità» [9].
Tale approccio, definito multidimensionale valorizza, in modo dinamico ed equilibrato, sia gli aspetti biologici che ambientali dell’individuo, evitando ogni contrapposizione o prevalenza dell’uno o dell’altro.
Alcuni principi ci aiutano a definire meglio il concetto di personalità:
1) ogni individuo presenta caratteristiche peculiari di personalità stabili nel tempo, non facili da modificare. È l’assetto base del comportamento della persona, il suo modo di essere.
2) la lettura della storia di una persona fornisce gli elementi chiave delle caratterizzazioni fondanti la sua personalità; il modo di essere di un individuo rappresenta l’epilogo delle sue vicende individuali, familiari, lavorative e sociali.
3) lo stile di vita di un individuo rappresenta l’espressione diretta della sua personalità; ogni scelta, programma, iniziativa o fallimento sono strettamente correlati ad esso.

Man mano che l’individuo cresce, il suo comportamento diventa sempre più complesso, fino a stabilizzarsi, riassumendo e rispecchiando le caratteristiche fondamentali della sua personalità [10].

La psicologia ha sempre ritenuto che la persona adulta abbia un’identità acquisita precisa, una personalità stabile e difficile da modificare e che ogni cambiamento sia possibile solo fino ad una certa età e in certe condizioni.
Oggi prevale l’idea che la personalità, pur avendo entro certi limiti caratteristiche stabili, possieda anche ottime potenzialità di cambiamento, di evoluzione e di crescita; ciò favorisce una visione positiva della vita e delle possibilità di confrontarsi costantemente con l’ambiente in cui si vive traendone stimoli infiniti.
Questi comportano una modificazione del modo di essere dell’individuo nei confronti di se stesso e degli altri: «noi pensiamo al cervello non come una struttura completamente formata ma come un processo dinamico continuamente soggetto a sviluppo e ricostruzione costanti lungo tutta la vita» [11].

Di fronte alla dinamicità della vita, l’individuo si muove con assertività e fermezza, conservando una linearità di comportamento che si coniuga con la dovuta flessibilità – capacità di adattamento – in risposta agli eventi esterni e alle innovate sollecitazioni interiori. Tale adattamento non è un’accettazione incondizionata di ciò che accade intorno a noi, quanto un attento scambio di informazioni con l’ambiente che consente di anticipare gli eventi e di adottare misure efficaci di cambiamento.
Allo stesso modo, la capacità riflessiva consente di monitorare con attenzione le sollecitazioni che provengono dal proprio Io, la stessa realtà è vissuta in maniera soggettiva, in un’ottica che nasce dalla propria storia di vita. Le sollecitazioni interiori, i propri desideri, le proprie aspirazioni hanno così un ruolo chiave non solo nel contribuire a determinare la risposta dell’individuo agli stimoli esterni, quanto anche nella definizione stessa degli stimoli, alcuni dei quali emergono da esigenze soggettive.

 

SUSY. Un momento di grande smarrimento, sia emotivo che razionale
Susy mi ha chiesto una consulenza in un momento di grande smarrimento, sia emotivo che razionale; si è sposata due anni fa ed ha una bimba di un anno; da circa due mesi ha perso il marito in un incidente sul lavoro, una tragedia che si è consumata all’improvviso, in un momento di grande serenità familiare e di prosperità dell’azienda gestita dal marito: «Ho perso tutto quello che avevo – racconta – non ho più niente, mi sento devastata sul piano psicologico e non riesco a capire perché mai è toccato proprio a me, non lo meritavo».
Il futuro appare vuoto, pensa alla figlia e alla necessità di assicurarle un minimo di serenità, non ha alcun supporto familiare, i suoi genitori sono anziani e i familiari del marito vivono in un’altra città. Per Susy si apre uno scenario nuovo, inatteso, nato da una tragedia che in un attimo ha infranto i suoi sogni.

Rispetto a certe situazioni, anche lo specialista può fare ben poco ma, sin dal primo colloquio, avevo colto la forza e la dignità con cui Susy immaginava di affrontare il futuro; c’era qualcosa che la rendeva solida, fiera di sé e responsabile.
Mi sorprendeva la sua voglia di vivere, di aiutare sé stessa e la figlia a conservare la dovuta serenità per operare scelte ponderate, il suo non volersi arrendere nei confronti della vita. Ha così rilevato l’azienda del marito e ne ha continuato l’attività, non senza sacrificio ma con determinazione e coraggio. Si è rimessa in discussione, ha dovuto imparare tante cose e ha dovuto delimitare il suo campo di fiducia, indispensabile per pianificare investimenti e garantire il buon andamento dell’azienda.

Questo è un esempio di come una buona struttura di personalità contribuisca in modo determinante ad affrontare gli eventi della vita e a tracciare un percorso personale di autoconsapevolezza; molto più spesso, proprio nei momenti di crisi l’individuo tende a smarrirsi, a non accettare le evidenze, a non assumersi le responsabilità che ogni scelta comporta. La forza della personalità e la sua maturità trovano concretezza nella capacità di autonomia dell’individuo e nelle sue forze motivazionali.

 

STEFANO. Apatia e disinteresse
Non vanno meglio le cose a Stefano, 28 anni, un ragazzo intelligente che lavora nell’azienda del padre. Quest’ultimo vive con un’altra donna avendo lasciato la moglie e chiesto il divorzio quando Stefano aveva 10 anni; non è stato un divorzio semplice, vi sono stati anni di battaglie legali, anche legate agli interessi dell’azienda, che hanno esasperato un po’ tutti. Stefano ha due fratelli che hanno preferito cercare lavoro altrove e vivere in piena autonomia, si sono trasferiti in un’altra città e hanno interrotto ogni rapporto con il padre, conservando invece un buon rapporto con la madre.

Dopo il liceo scientifico non ha voluto proseguire gli studi, ha preferito lavorare con il padre, lo ha sempre considerato un punto di riferimento, ma non ha mai lasciato la madre con cui continua a vivere. Stefano è un ragazzo fragile, non ha le idee chiare né obiettivi precisi e all’interno dell’azienda nel corso degli anni non è riuscito a ritagliarsi uno spazio di autonomia, ancora oggi sostiene di non essere proprio sicuro della scelta fatta, ma che comunque non ha alternative, non saprebbe cos’altro fare; si mostra apatico e disinteressato, vorrebbe essere “come il padre” ma fa ben poco per comprendere i problemi dell’azienda e le dinamiche che la caratterizzano. Le sue continue assenze dal lavoro confermano quest’atteggiamento di base che ora è fonte di insoddisfazione e di lamentele.

 

LUCA. Accettare l’idea di dover essere “secondo”
Luca
, 58 anni, ha da poco ottenuto un incarico dirigenziale a livello amministrativo in un’azienda di trasporti, incarico che desiderava da tanto tempo; lavora con questa azienda da oltre 25 anni con dedizione, ne conosce i pregi e i difetti, negli anni sono state superate diverse crisi legate a obiettive difficoltà organizzative, non ultimo la crisi subentrata con il Covid-19 che ha determinato una riorganizzazione dell’assetto aziendale.

Parimenti Luca ha dovuto far fronte anche a difficoltà familiari, la malattia della moglie che si è dovuta sottoporre ad un intervento chirurgico per un tumore al seno con successivo ciclo di chemio e radio terapia, l’acquisto della nuova casa e, non ultimo, ha dovuto essere attento ai suoi due figli, di 14 e 16 anni.

Rispetto alle sollecitazioni interne, Luca è stato in ogni caso capace di individuare, di volta in volta, idonee strategie di risposta, si è dimostrato sempre in grado di far fronte agli ostacoli, percependo la strada giusta da intraprendere. Ora che ha ricevuto il nuovo incarico dovrebbe sentirsi soddisfatto e stare più tranquillo, anche perché l’azienda va bene, si è stabilizzata nella nuova organizzazione e le prospettive di crescita appaiono positive.

Cosa c’è che non va?
Luca in realtà aspira a diventare l’amministratore unico, posto ora occupato da Paolo, suo amico e collega; avevano iniziato a lavorare insieme ed ora è convinto che tale posto spetti a lui, non riesce ad accettare l’idea di dover essere “secondo”. Pur giuste, le sue aspirazioni lo rendono inquieto ed insoddisfatto, non riesce a lavorare con la dovuta concentrazione, la sua ideazione è polarizzata su Paolo, lo vede come un ostacolo insormontabile, fonte di frustrazione, invidia, gelosia, un misto di emozioni che non riesce a gestire.

Dal punto di vista psicologico la consapevolezza del proprio modo di essere sostiene la personalità e la rende sensibile al cambiamento; la persona matura conserva nel tempo una solida stabilità e non si lascia condizionare dagli eventi: «... nell’affrontare questa sfida – e state certi che ce la faremo – è più che mai importante ricordarci chi siamo veramente...» [12]. Occorre in ogni caso fare i conti con le emozioni che colorano il proprio mondo interno, regolano l’umore di fondo della personalità e ne possono condizionare l’espressività sul piano comportamentale.
Rimanere se stessi in un mondo che cambia, anche quando le cose non vanno come dovrebbero andare, senza perdere di vista la continuità storica del proprio essere, rappresenta lo sforzo costante da compiere quotidianamente; la forza della personalità dà ragione della grande potenzialità della mente di muoversi con agilità nel labirinto della vita con coraggio ed autonomia [13]: prendere coscienza della realtà, rapportarla alle proprie risorse emotive e cognitive, diventa così il punto di forza della struttura stessa della personalità matura.

 

GIANLUCA. Riprendere gli studi universitari
Gianluca
, 26 anni, ha deciso di riprendere gli studi universitari, si è iscritto al corso di laurea in economia aziendale, vuole iniziare il nuovo anno con buoni propositi ed è consapevole delle difficoltà che dovrà affrontare, anche perché è reduce da scelte che lui stesso definisce “affrettate e non oculate”.

È figlio unico e ha conseguito la maturità classica con ottimi voti; ha una famiglia tranquilla, i genitori – entrambi operai presso un’azienda di materiale plastico – lo hanno sempre assecondato e sostenuto nelle scelte, anche se oggi appaiono preoccupati perché lo vedono insicuro ed indeciso. Dopo il liceo si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza, in tre anni non ha sostenuto nessun esame, non è riuscito ad essere costante negli studi, a seguire con attenzione le lezioni, non ha saputo conciliare lo studio con il divertimento. L’università gli è apparsa come un contenitore anonimo, non è riuscito ad aggrapparsi a nulla, mentre il liceo gli aveva offerto una corazza di protezione che lo faceva perseverare negli studi, la dispersione dell’ambiente universitario lo aveva messo in crisi.

Non era più contenuto, osservato, ascoltato, si è ritrovato solo con le sue responsabilità; ha pensato di poter rinviare lo studio all’indomani, che avrebbe potuto sostenere gli esami senza seguire i corsi e che poteva dare la precedenza ad altre iniziative, come uscire con la ragazza tutte le sere e rientrare tardi.

Sentendosi in difficoltà, Gianluca ha chiesto ai genitori di aiutarlo a cercare un lavoro e l’opportunità si è avuta grazie ad un amico del padre che è riuscito a farlo assumere – con un contratto a tempo indeterminato – presso una cooperativa di servizi.
Meglio lavorare che rimanere all’università senza profitto, era questa la considerazione che aveva condiviso con i genitori, ma non aveva fatto i conti con la durezza e la costanza che richiedeva l’attività lavorativa; ha iniziato ben presto ad assentarsi dal lavoro dietro presentazione di continue certificazioni mediche e alla fine è stato licenziato.

Ora vuole “riprovare” con l’università, si sente tranquillo perché ha il sostegno dei genitori, è convinto di potercela fare, ne è convinta anche la sua ragazza, le intenzioni sono buone ed anche la “volontà”, è sicuro che questa volta ce la farà.

 

MANUELA. Autonomia affettiva
Per Manuela la situazione familiare e lavorativa si presenta statica e priva di prospettive; ha 24 anni ed è iscritta ad economia e commercio ma non riesce ad essere costante negli studi. Aveva iniziato bene e nel contempo riusciva a frequentare lo studio di un commercialista, riteneva la pratica professionale indispensabile e di ausilio allo studio ma in seguito non è stata più in grado di sostenere i ritmi universitari.
In realtà è da quando si è fidanzata che ha iniziato a trascurare gli impegni universitari; il rapporto con Piero la condiziona molto, ha dovuto lasciare il lavoro in seguito ad una sua scenata di gelosia e deve limitarsi, per gli stessi motivi, a frequentare l’università per il tempo strettamente connesso alle lezioni; Piero è geloso e possessivo e non vuole che Manuela abbia rapporti di amicizia con altre persone. Il clima familiare si è fatto pesante, i litigi tra i due sono all’ordine del giorno ma Manuela è convinta che sia lui l’uomo della sua vita, tende a giustificarlo e a considerare le sue manifestazioni di gelosia come espressione del suo amore.

Un barlume di consapevolezza si è avuto quando, in seguito all’ennesimo litigio, ha deciso di troncare la relazione e di consultare – su consiglio della cugina – uno psicologo.

Manuela è una ragazza intelligente ma priva di determinazione e facilmente condizionabile; le sue idee rispetto al futuro sono buone ma non sostenute da una sufficiente motivazione; i progetti a lungo termine sono oscurati dall’attualità dell’esperienza di innamoramento che sembra aver sconvolto ogni impegno e progettualità futura.
Il problema consiste nel definire la sua autonomia affettiva e i suoi impegni futuri, nel periodo di separazione sembrava aver ritrovato una buona serenità ma il tutto è durato poco, infatti, è ritornata con il suo ragazzo, ha ripreso a vivere la sua storia d’amore – con tutte le conflittualità connesse - e ha interrotto la psicoterapia.

Uno dei fattori che condiziona in termini negativi la vita di un individuo è la mancanza di autonomia e la presenza di una dipendenza psicologica da persone o cose.
La persona matura ha ben chiari i confini del proprio essere ed è in grado di assumere decisioni importanti con un elevato livello di autonomia; molte forme di disagio psicologico nascono dalla mancata realizzazione di questo stadio di autonomia che ha le sue origini nella crescita dell’individuo.

Il bambino ha una forte dipendenza dalle figure genitoriali che ne garantiscono la protezione e ne favoriscono il progressivo distacco; il bimbo impara a esplorare l’ambiente con curiosità e a diventare sempre più autonomo, a camminare e a crearsi i propri spazi, il proprio ambiente.
Dal punto di vista psicologico il processo di crescita del bambino è caratterizzato dalla progressiva attitudine all’autonomia e alla sicurezza grazie ad un’interazione costante e dinamica con l’ambiente [11] da cui il bimbo viene a differenziarsi; questa determinazione del confine fra il Sé e l’ambiente rappresenta la base dei processi che condizionano lo sviluppo della personalità matura.
Ciò che sappiamo è che un ambiente familiare sereno e affettuoso contribuisce a diminuire le incertezze e lo stress, infonde sicurezza e favorisce la sua crescita e la sua autonomia; madri disponibili, sensibili e capaci di intuire lo stato emotivo ed i bisogni del proprio bambino accrescono e favoriscono il suo processo di maturazione – di autonomia funzionale - e consentono la piena espressività delle sue risorse, sia emotive che razionali. Tale autonomia è fonte della progettualità futura e la maturità della personalità rispecchia il livello di autonomia funzionale raggiunto dall’individuo.

Chi è immaturo, dipendente, fragile e psicologicamente labile agisce in modo inconsapevole e vincolato a meccanismi regressivi che hanno la loro ragione nella distorsione del processo di crescita dell’individuo con stagnazione di comportamenti e modalità di pensiero arcaico, infantile e disfunzionale, non adatto alla persona adulta e matura.

L’autonomia funzionale esprime la forza della personalità e la maturità dell’Io, rappresenta il parametro di riferimento delle motivazioni alla base della crescita dell’individuo.
Comprendere tali motivazioni, capire perché ci si comporta in un certo modo piuttosto che in un altro non è cosa semplice.
Perché un ragazzo sceglie di doparsi piuttosto che accettare i propri limiti e allenarsi con costanza e determinazione senza sperare nell’aiuto di sostanze esterne?

Perché una ragazza deve vedersi compromessa la propria stabilità emotiva per seguire le emozioni che la legano ad un ragazzo che non la rispetta e non l’aiuta a crescere?

Quali sono le motivazioni che spingono un soggetto a rincorrere mete illusorie, a sprecare ingenti risorse psicologiche senza raggiungere alcun grado di soddisfazione personale?

Sostanzialmente, il campo della motivazione umana è ancora tutto da studiare, ha radici profonde ed è soggetto a numerose variabili individuali, familiari, lavorative e sociali; molto spazio è dato, nella terapia psicologica, alla comprensione delle motivazioni personali che sostengono il comportamento umano e che inducono a compiere determinate scelte [14].

In molti individui sono presenti fattori motivazionali che nascono da carenze affettive o da vuoti esistenziali difficili da colmare; l’interesse per gli altri o per determinate cose deriva da un vuoto interiore, da una mancanza di sicurezza e di autostima, dalla paura di stare da soli (motivazione di mancanza).
In questi casi, le relazioni familiari, sociali e gli impegni lavorativi rappresentano solo il tentativo di colmare questo vuoto interiore, nella speranza di accrescere il proprio livello di soddisfazione personale.
Il più delle volte tale operazione risulta fallimentare e le conseguenze sul piano psicologico appaiono inevitabili poiché non si riesce a trarre soddisfazione dalla propria vita e a raggiungere livelli affettivi e cognitivi adeguati a sostenere il benessere individuale.
Se dentro la persona c’è il vuoto, l’insicurezza, l’insoddisfazione, l’incertezza, la delusione, ogni scelta sarà riparatoria, non autentica, tesa a colmare un vuoto che esprime la fragilità dell’Io e della sua personalità.
Molti disturbi psichici hanno origine da questa fragilità e solo la narrazione autentica della storia dell’individuo, attraverso un adeguato percorso psicoterapeutico, può aiutare una persona a ritrovare piena espressione della propria autenticità [4].
In realtà, occorre considerare che tale presunta mancanza di affetto assume connotazioni negative; si tende a dire che disattenzioni genitoriali e relazionali possono essere alla base di una condizione di disagio o sofferenza psichica, nel tentativo di richiamare l’attenzione dei familiari o degli amici o colleghi di lavoro. Si tende a considerare il bisogno di affetto derivante da vuoti interiori, non colmabili, come diretta conseguenza dell’infanzia, dell’educazione ricevuta, del clima familiare e così via dicendo; in realtà questa prospettiva appare fuorviante e legata a dinamiche inconsce disfunzionali che innescano nell’individuo un circolo vizioso difficile da spezzare e da comprendere: è il meccanismo stesso della nevrosi.

La prospettiva deve essere un’altra: la persona ha un costante bisogno di affetto, indipendentemente dal passato, è un’esigenza biologica e psicologica da coltivare con cura e costanza poiché è alla base stessa del ben-essere; non esistono vuoti affettivi, esiste l’esigenza di vivere relazioni valide e gratificanti (motivazione di crescita e sviluppo).
Avere una motivazione autentica e solida alla crescita e al ben-essere è una garanzia di serenità ed autoefficacia; in questo caso l’operatività dell’individuo non è dovuta al bisogno nevrotico di riempiere dei vuoti o nascondere conflitti e contraddizioni interiori, bensì al piacere di realizzare nella vita qualcosa di proficuo e utile, al piacere di crescere e sentirsi realizzato. L’orizzonte temporale appare ampio, si è propensi ad accettare dei sacrifici pur di raggiungere determinate mete, ma senza l’ansia di dover arrivare primi; l’obiettivo principale è la gratificazione sul piano affettivo e personale sapendo di impegnare il proprio tempo e le proprie risorse per la realizzazione di progettualità consapevoli. Le difficoltà e le amarezze che si incontrano nella vita avranno il sapore della delusione non della catastrofe, e potranno essere lette con spirito critico per migliorare nel tempo la propria capacità di autodeterminazione.

Le scelte sono dettate da un progetto di vita unitario e soddisfacente; avere nella vita degli obiettivi coerenti e ben definiti è la premessa da cui partire per affrontare ogni altro problema.
Il primo passo per accrescere la propria consapevolezza è quello di imparare a riconoscere le proprie motivazioni, i propri desideri e definire gli obiettivi che si vogliono perseguire.

Nella vita, come nello sport, gli obiettivi devono essere ben precisi [15]; è importante non darsi delle mete assolute, irrealizzabili, che richiedono sforzi non realistici e non sostenibili. Bisogna imparare a correre bene, saper correre, ad apprezzare lo sforzo che occorre sostenere per affrontare i problemi della vita [16]; ma soprattutto è fondamentale avere chiari gli obiettivi principali per cui correre, onde evitare delusioni ed inutili sprechi di energia. Ma è importante anche saperli modificare o imparare a rinunciare a determinate mete quando si percepisce, nel concreto, l’impossibilità di raggiungerli o l’insostenibilità degli stessi.

Quando si diventa ostinati difronte a evidenze incontestabili, quando non si vuole vedere la realtà così com’è, quando l’obiettivo diventa un’ossessione e non ci si rende conto che bisogna cambiare rotta, si entra in una spirale distruttiva che è alla base di molti disturbi psichici.